Instagram è molto cambiato, negli ultimi due anni. Come scrivevo qualche mese fa, pare che il futuro della piattaforma vada inevitabilmente verso il formato video, e che anche il proposito iniziale dell’app, cioè creare una rete di amici, familiari e persone con interessi simili, sia almeno in parte superato. L’habitat digitale di IG, come raccontavo qualche tempo fa alla testata online Be Unsocial, è sempre più popolato di singoli contenuti virali modellati secondo i trend creativi del momento.
Ha ancora senso usare gli hashtag?
Ci troviamo dunque a domandarci se il modo in cui abbiamo imparato a comunicare online in tutti questi anni sia ancora efficace. “Ha ancora senso ritoccare le mie foto?” “Mi è utile puntare alla coerenza estetica?” “Devo continuare a inserire gli hashtag nei miei post?”
Fino a qualche anno fa gli hashtag erano argomento di corsi, tutorial, newlsetter. Io stessa per moltissimo tempo ho tenuto sul mio blog una rubrica mensile in cui ne consigliavo di utili. Ultimamente, invece, sembra che l’attenzione intorno al tema sia diminuita.
La rivoluzione della keyword search
Uno dei motivi principali dietro al fenomeno è che ora su Instagram esiste nuovo sistema di ricerca, la keyword search, ovvero la ricerca per parole chiave. Questo sistema, introdotto in sei paesi di lingua inglese tra fine 2020 e inizio 2021 e poi gradualmente esteso a tutte le lingue, rappresenta un grande cambiamento rispetto al passato.
Per molti anni Instagram ha restituito, come risultati di una ricerca, solamente nomi di profili oppure hashtag. Un utente interessato ai gatti ad esempio, era praticamente obbligato a visitare la pagina dell’hashtag #gatto, oppure a sperare che esistesse un profilo tanto specifico da aver aggiunto il tema nel proprio nome utente.
Ecco cosa vediamo oggi, cercando la parola “gatto”: una pagina piuttosto variegata, oltre che, come instagram chiarisce nel suo blog, personalizzata secondo gli interessi dell’utente.
Riceviamo già nella prima schermata un buon numero di post che rispondono alla nostra esigenza, in questo caso vedere gatti carini, ed è meno probabile che toccheremo la parola “tag” in alto per raggiungere il relativo hashtag #gatto.
Instagram ha imparato a “leggere”
In un articolo sul suo blog, Instagram dichiara che, per comporre il risultato della ricerca, andrà a caccia della parola chiave richiesta all’interno di tutti questi campi:
- hashtag
- didascalie delle foto
- biografie
- username
- luoghi
Terrà conto inoltre delle attività dell’utente, delle pagine che segue e dei contenuti che dimostra di apprezzare. Infine valuterà, per ordinare i contenuti, la loro popolarità ovvero il numero di like, click, condivisioni e follower della pagina. Instagram utilizza inoltre diversi tipi di intelligenza artificiale, alcuni dei quali ancora poco noti, per analizzare testi e immagini e interpretarne il contenuto.
Stai dicendo che le didascalie sono più “utili” degli hashtag?
Il discorso fatto finora ci porta a due conclusioni: la prima è che probabilmente le persone raggiungono poco le pagine degli hashtag, perchè rispetto al passato è richiesto loro un clic in più per farlo. La seconda è che didascalie e biografie iniziano a da avere un ruolo fondamentale nella distribuzione dei post.
Su questo il blog di Hootsuite, un software per la gestione social, ha tentato quest’estate un divertente esperimento. Ha chiesto all’attrice e scrittrice Stacey McLachlan di pubblicare sul proprio profilo due serie di post di identico contenuto, con una sola differenza: i primi avrebbero presentato solo didascalie descrittive attente alla SEO (Search Engine Optimization – ottimizzazione per i motori di ricerca), i secondi solo hashtag inerenti al contenuto.
Il risultato è notevole: tutti i post di cui è stata curata la didascalia, senza uso degli hashtag, hanno avuto una reach maggiore, raggiungendo mediamente il 30% di persone in più.
Naturalmente, un singolo esperimento non ci permette di affermare con certezza che Instagram dia più peso alle caption che agli hashtag, un po’ perchè non ha sufficiente valore statistico, e un po’ perchè potrebbero intervenire altri elementi: uno su tutti, il fatto che un post senza didascalia risulta più “impersonale” e magari attira di meno l’attenzione dei follower.
Inoltre diverse pagine, insights alla mano, ricevono ancora un ottimo traffico di utenti provenienti dalle pagine degli hashtag, che rimangono comunque fondamentali, come spiega la consulente Jenn Herman, per aiutare instagram a capire l’argomento del nostro post e proporlo alle persone giuste.
L’esperimento di Hootsuite ci lascia comunque un interessante spunto di riflessione sul fatto che gli hahstag non sono più l’unico aspetto da considerare nell’ottimizzare i nostri post per raggiungere il pubblico. Sarà necessario, da ora in poi, porre attenzione anche alle didascalie, al nome utente, al contenuto della bio e perfino al contenuto dell’immagine stessa.
Segnalo infine che la pagina ufficiale Creators di Instagram afferma che l’uso degli hashtag influisce in modo limitato sulla distribuzione del contenuto, e consiglia usarne pochi (3-5), purchè siano particolarmente rilevanti.
Instagram non è più lo stesso
Provo a immaginare i vostri pensieri: “che stress, cambia sempre tutto, non era più semplice l’Instagram delle origini? Solo foto, caption e qualche hashtag da visitare?”. Indubbiamente sì.
Gli utenti dei social, nel primo decennio del duemila, si sono trovati davanti a strumenti più lineari e quindi più malleabili, che riuscivano a piegare alle proprie esigenze. Ricordo con tenerezza il periodo in cui aggiungere hashtag come #likeforlike portava davvero le persone a scambiarsi attenzione reciproca aumentando l’engagement dei post (oggi è assolutamente una cosa da non fare, anzi rischiamo che Instagram classifichi il nostro post come spam).
Un’altra abitudine che si è diffusa allora è creare delle vere e proprie comunità intorno a un hashtag: un profilo influente propone un hashtag ai propri follower e periodicamente ospita i contenuti che preferisce sulla propria pagina o su una pagina creata apposta. Nei casi più elaborati, vengono proposte anche sotto-tematiche settimanali o mensili. L’ho fatto anch’io, molte volte, con il mio contest natalizio #gioiedinatale e l’hashtag #feliceadesso.
Le community che fine hanno fatto?
Parlando con la creator Cristiana Munafò, co-amministratrice della pagina tematica @nothingisordinary, ho confermato alcuni dei miei sospetti: il fenomeno delle grandi pagine che propongono hashtag e contest tematici raccoglie sempre meno consensi. Questo in parte è dovuto al funzionamento del nuovo sistema di ricerca, che rende, come dicevamo, la pagina degli hashtag meno raggiungibile, ma non solo: le politiche di IG in merito alla costruzione della community sono cambiate.
L’obiettivo attuale dell’homepage di Instagram, come affermava a maggio dell’anno scorso il CEO Adam Mosseri, è permettere agli utenti di scoprire nuove pagine, non interagire con i propri amici. Secondo questa concezione i post non hanno più lo scopo principale di intrattenere, divertire, educare i propri follower, ma anzi servono a raggiungere una platea potenzialmente molto ampia di persone. In poche parole, a diventare virali.
I video senza hashtag diventano virali?
Lo stesso Mosseri, in un’intervista a The Verge rilasciata in seguito ad accese proteste degli utenti, si giustifica affermando che, secondo le statistiche, gli iscritti a Instagram preferiscono interagire con i propri contatti attraverso stories e messaggi privati, mentre usano la homepage per scoprire contenuti nuovi, specialmente video. Le nuove politiche di Instagram non farebbero altro, a suo avviso, che assecondare una realtà già esistente.
Usare gli hashtag per creare community, in un contesto del genere, può sembrare anacronistico. Non è un caso che diversi “instagram guru” online consiglino di non aggiungerne affatto ai propri video. Un reel senza hashtag, effettivamente, non si chiude in una nicchia e permette ad Instagram massima libertà nel calcolare a quale pubblico potrebbe interessare. Questo vuol dire che sarà distribuito potenzialmente a più persone, che però potrebbero essere meno interessate a vederlo (quindi probabilmente aumenteranno le visualizzazioni, ma non è detto che ci siano più interazioni, follower, acquisti, fidelizzazione).
Quindi, che facciamo?
Lascio in coda a questo post qualche consiglio, per tirare le fila in questo contesto indubbiamente poco lineare.
- Usate gli hashtag, specie se volete raggiungere un pubblico interessato alla vostra nicchia. Però non impazzite nella ricerca e non perdeteci troppo tempo, perchè ci sono tanti altri elementi da tenere in considerazione, ad esempio caption, bio, o realizzazione del contenuto in se (che, specialmente se video, potrebbe essere già parecchio laborioso)
- Se volete creare una community, fatelo con un’iniziativa ben strutturata, magari che duri per un tempo limitato (penso ad esempio al calendario tematico #guidamigennaio di @conguidoit, appena concluso).
- Se tentate la via della viralità, realizzando reel accattivanti e di intrattenimento, provate a non usare hashtag, ma tenete conto che ne potrebbe risultare una community molto variegata e un po’ “sfilacciata”
Consiglio bonus: se volete in qualche modo “capitalizzare” e mettere in salvo la community, in vista di ulteriori cambiamenti da parte di IG, aprite una newsletter (a proposito, la mia è qui), un canale telegram o comunque un altro luogo virtuale in cui creare dialogo. E ricordate che, al momento, il vero “zoccolo duro” dei vostri fan è la parte di loro che guarda le vostre stories e vi scrive in direct. Se non riuscite a raggiungerli con i vostri post, specialmente reel, non preoccupatevi troppo.
Cosa ne pensate? Qual è il vostro rapporto con gli hashtag? Fatemelo sapere qui o su Instagram 💛

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