Noi millennial siamo tutti messi così. Ci sentiam Noi millennial siamo tutti messi così. Ci sentiamo insicuri, andiamo dallo psicologo, abbiamo la sensazione che ci sia stato promesso qualcosa che poi ci è stato negato. Ed è così, perché il mondo in cui sono cresciuti i nostri genitori, quello del boom economico, degli ideali del ‘68, della fiducia assoluta nel futuro, dell’emancipazione attraverso la lotta politica… non esiste più.
“Studia e farai tutto quello che vuoi”, è un mantra che ha funzionato (forse) per loro, ma nel nuovo millennio è sfumato. Così ora ci arrabattiamo, giostrandoci tra la nostra immagine pubblica sui social, l’attivismo online, i coach che ci dicono “se lo vuoi puoi” e la realtà dei fatti che è spesso molto meno generosa. Anche il mito del posto fisso è andato in fumo da tempo, perché è vero, potrebbe far comodo, ma ormai l’idea di rimanere 40 anni seduti sulla stessa sedia ci pare una trappola anziché un privilegio. 
E nonostante tutto inventiamo lavori, creiamo storie, cresciamo bambini, mettiamo insieme famiglie decisamente meno tradizionali di quella in cui siamo cresciuti. Se i nostri genitori ci hanno lasciato qualche ricchezza ne siamo grati, ma ci sentiamo un po’ in colpa. Se invece non abbiamo le spalle coperte, la nostra vita è una continua sequela di compromessi. 
Siamo la generazione che ha scoperto l’importanza di accogliere i sentimenti, ma non ci siamo allenati da piccoli, e ora ci manca il respiro ad ogni salita. Tra yoga, psicoterapia, meditazione, passeggiate, letture, digital detox, “me time”, cerchiamo disordinatamente noi stessi. E ci troviamo, ma a pezzettini, e la vita spesso non ci lascia il tempo di ricomporre il puzzle. 
Non c’è una morale dietro a questa storia, davvero. Solo ricordiamoci, quando ci riconosciamo tra maglie di qualche rete, di dedicarci uno sguardo solidale, senza giudizio, e un sorriso affettuoso ai nostri reciproci tasselli mancanti.
#hounastoriaperte
Zucca, dove sei finita? Sono bloccata, imbottiglia Zucca, dove sei finita? Sono bloccata, imbottigliata e travolta da:

- Tre settimane di degenza Covid + tampone negativo di tutti per rientro al nido + un paio di giorni di asilo chiuso, cioè sostanzialmente un mese senza lavorare
- Lo scoppio della guerra in Ucraina che mi rende letteralmente doloroso frequentare i social network
- Un’altra settimana, quella in corso, di influenza “normale” per Lucio e per il suo papà, che non vuole passare (prenderà anche me?)
- Il lavoro arretrato di un mese che incombe, consulenze spostate e scadenze mancate, impossibilità totale di fare programmi

So che probabilmente sto descrivendo la situazione in cui si trovano moltissime e moltissimi di voi. 
È interessante che all’indomani della giornata internazionale della donna io sia qui, affondata sul divano con un bambino sul petto a domandarmi: che faccio, mi giustifico per scadenze mancate e lavoro non svolto tirando in ballo mio figlio che sta male? Oppure è meglio non fornire spiegazioni e limitarmi a chiedere scusa? 🙄
Anni fa, quando non ero ancora madre, ho provato a discolparmi per un errore dicendo “mi dispiace, è che ho troppe cose da fare”, e mi è stato risposto, letteralmente “questa è una presa per il c**o, tutti abbiamo troppe cose da fare”. Quel giorno ho pianto di rabbia e vergogna per ore e da allora, onestamente, ho smesso di aspettarmi dagli altri una risposta empatica. Voi cosa fate in queste situazioni? 
#raccontatimamma #amosenzamisura
Ieri nelle stories ho pubblicato queste parole, e Ieri nelle stories ho pubblicato queste parole, e ho ricevuto decine di messaggi di persone che si sono riconosciute nella mia esperienza. Le riporto qui perché vorrei che ne restasse traccia:

Quando è nato Lucio ho sentito per moltissimi mesi una voragine incolmabile tra me e la società. Quello che volevo non erano tanto asili nido gratuiti e maternità pagata per mesi. O meglio, avrebbero aiutato, ma… io in realtà sentivo che mi era negato il diritto a qualcosa di più ancestrale: quello che Ivan di @conguidoit nella sua ultima newsletter chiama “il tempo dell'esistenza". 

Sentivo di avere diritto a mesi, se non anni, da passare a osservare quella vita nuova schiudersi e farsi spazio. 
Senza l'obbligo di lavorare, senza il problema della solitudine. 
Sentivo di avere diritto ad altre braccia, molte braccia su cui posare il corpo addormentato di mio figlio, non il bisogno di apprendere gli orari, le finestre di veglia, la fisiologia del sonno per riuscire a depositarlo quanto prima nella culla e poter tornare a svolgere una vita "produttiva". 

Non so se esiste un tipo di welfare che può garantire questo. Ma io credo che alle donne e agli uomini, ai padri e alle madri, dovrebbe essere dato il diritto di veder crescere i propri figli. 
Abbiamo costruito un tipo di società che non è per niente sostenibile, se ci costringe a passare la maggior parte delle ore del giorno, tutte quelle in cui splende il sole, lontano dalle persone che amiamo. 

Le rivendicazioni sugli asili nido o sulla parità di divisione dei compiti tra uomini e donne sono molto sensate, le approvo moltissimo.
Ma il problema è a monte: tutti, madri e padri, dovrebbero avere il diritto di passare intere giornate a osservare, consolare e cullare i propri figli. E non solo quando sono appena nati. 

Durante i primi mesi di vita di Lucio ho sentito pronunciare mille volte la classica frase "per crescere un bambino ci vuole un villaggio". Il problema della nostra società è che il villaggio non c'è, perché nessuno ha tempo. A nessuno è concesso l'improduttivo, prezioso, salvifico e perfino sacro "tempo dell'esistenza".
Da bambina mi era concesso guardare la TV, la sera Da bambina mi era concesso guardare la TV, la sera, solo in tre circostanze: se veniva trasmesso un film imperdibile “che poi chissà quando lo ridanno!”, se c’era un programma satirico di Corrado Guzzanti (il che dice molto sui miei riferimenti etico-politici) oppure se era la settimana del festival di Sanremo.
Dovete immaginarvi le stanze della nostra casa di allora come tante piccole scatole impilate l’una sull’altra, collegate da una scala a chiocciola in legno. Le nostre due televisioni, come dive capricciose e rivali, si trovavano ai margini opposti: una in basso, nella cucina, e l’altra in cima, nella mansarda.
Finita la cena, con la stufa in procinto di spegnersi, mentre lo schermo sfolgorava irresistibile nella penombra, qualcuno prima o poi pronunciava la frase “forse dovremmo andar su”. “Aspettiamo la prossima pubblicità”, si rispondeva. Ma la temperatura, d’inverno, scendeva in fretta, e le sedie diventavano presto scomode. “Dai, salgo io”, “mannò, vado io tra qualche minuto”, “ok, va bene”.
Alla fine, un valoroso membro della famiglia smetteva di procrastinare, scalava le rampe due gradini alla volta e accendeva l’altro apparecchio annunciando a gran voce “fattooo!”. A quel punto, con il dito già sul pulsante off, si indugiava ancora qualche secondo ad apprezzare l’eco sfasato delle due televisioni che si sovrapponevano agguerrite come cantanti avversarie in una gara di stornelli. Poi si salivano i gradini in fretta, aguzzando le orecchie per non perdere nemmeno un minuto di trasmissione. Inutile dire che ovviamente, appena sistemati sul divano, nel 90% dei casi partiva la pubblicità.
Amo il pulsante “pausa” di Netflix almeno quanto rimpiango le serate passate su quei cuscini (per non parlare di chi ci era seduto sopra 🥲). Tra qualche giorno riparte Sanremo e se volete raggiungermi su questo grande divano virtuale date un’occhiata alle mie stories in evidenza “Fantasanremo”, oppure, se vi va, sedetevi qui con me e raccontatemi i vostri primi ricordi “televisivi” 📺🛋
#hounastoriaperte #feliceadesso #sanremo
✨ Aprite il video per vederlo a schermo intero ✨
Con le #gioiedinatale ci ho preso gusto, ed ecco un altro tutorial per la rubrica “Reel in 20 minuti”. Questo format è semplice da realizzare, permette di riutilizzare video già girati, e ci dà la possibilità di dedicare un ringraziamento di fine anno a noi stessi, che diciamoci la verità, ce lo siamo proprio meritato! 💛
Come sempre se avete domande o difficoltà la prof è a vostra disposizione, scrivetemi qui nei commenti! ⬇️🥰
#feliceadesso #tutorial #buonanno
Il nostro secondo Natale con Lucio, il nostro seco Il nostro secondo Natale con Lucio, il nostro secondo Natale in pandemia, eppure per noi entusiasti delle feste la bellezza scintillante di questi giorni è sempre sorprendente come la prima volta ✨
Quest'anno io e @dario.mimmo siamo stati ospitati da @pradibrec, un posto magico gestito da parenti del mio ramo canavesano 🏔
Abbiamo messo insieme una canzone della tradizione inglese, un'autoarpa, una Polaroid e un bambino di un anno e mezzo, e ne siamo usciti miracolosamente vivi! Buona visione e auguri ❤️
#gioiedinatale #polaroid #autoharp #thefirstnoel
✨Aprite il video per vederlo a schermo intero✨ ✨Aprite il video per vederlo a schermo intero✨
Oggi vi propongo di provare a realizzare questo reel semplice e rilassante. Stavolta, per variare rispetto ai precedenti (trovate tutti i tutorial sul mio profilo), ho deciso di mostrarvi come si realizza un reel con video già esistenti, ma se non ne avete potete anche realizzarne di appositi. L’importante è che siano evocativi e diano un senso di relax.
I video presenti nel reel sono una piccola anticipazione del videoclip della nostra cover natalizia 2021, che pubblicheremo a giorni 😍✨ #gioiedinatale
✨ Aprite il video per vederlo a schermo intero ✨

Oggi vi chiedo, per #gioiedinatale, di realizzare questo semplicissimo reel. Il testo dice “so I read a book, or maybe two or three”, cioè “leggo un libro, oppure due o tre”, ed è tratto dalla canzone iniziale del film Disney Rapunzel, dove la ragazza elenca i passatempi (da nerd) con cui ammazza il tempo dentro alla torre in cui è imprigionata.

Qualche ulteriore accortezza:
- scegliete tre libri che amate
- esercitatevi qualche volta con il movimento, perché la prima volta vi cadranno tutti insieme 😁
- mettete un cuscino o una coperta per terra, che i libri cadendo si rovinano!
- fate in modo di andare il più possibile al tempo con il testo 
- se non avete a disposizione qualcuno che vi aiuti a girare, usate la funzione timer di reel (si trova toccando sul cronometro a sinistra)
- nella didascalia spiegate brevemente perché avete scelto proprio quei libri e per quale motivo i vostri follower dovrebbero proprio leggerli!

Se avete domande, la prof è a vostra disposizione! 💛📚
Il sole che filtra dalla persiana La lampadina del Il sole che filtra dalla persiana
La lampadina del fasciatoio
L’alba che spunta sui tetti innevati
Il lampadario del corridoio

I led dell’albero di Natale
I faretti accesi della cucina
Quella candela sul davanzale
E la lanterna della cantina

Povere lampade, loro non sanno
Che anche se brillano senza riposo
Pure nei giorni più corti dell’anno
Qui c’è un bimbetto più luminoso ✨

[Una #filazucca per #fareluce su queste giornate, pure con le notti insonni, la stanchezza e la sesta malattia 😴🌲✨] #gioiedinatale
Caro Lucio, ti scrivo scomoda, con una mano sola, Caro Lucio, ti scrivo scomoda, con una mano sola, mentre tu russi leggermente nell’incavo del mio braccio. Dovrei alzarmi, lavorare, ma una forza invisibile mi trattiene qui, accanto ai tuoi riccioli appena sudati, al tuo corpo abbandonato accanto al mio.
Lo ammetto, ho passato il primo anno della tua vita a studiare: libri, riviste, blog e corsi online. Ho cercato di memorizzare curve del peso, grammature, scatti di crescita e finestre di veglia. Ho compilato intere bacheche di abiti in fibre naturali, attività creative, mobilio montessoriano e giochi educativi. Ho spiato le vite degli altri attraverso lo schermo del telefono, ho ascoltato consigli, giudizi e opinioni. Mi sono arrabbiata. Ho avuto paura. Ho creduto di non essere abbastanza.
Poi quest’estate è accaduto qualcosa. Hai iniziato a camminare, e ogni tuo passo ha riportato me sulla retta via. I miei occhi, affaticati a scrutare soluzioni all’orizzonte, si sono finalmente rivolti dalla parte giusta. E ho visto tuo papà che ti taglia la frutta a colazione mentre tu mangi lo yogurt col cucchiaio e esclami “aaam”. Ho ascoltato la melodia che canticchi quando vuoi chiederci di accendere la musica, i tasti del piano che percuoti con le dita intonando forte la stessa nota. Ho notato il modo che hai di correrci incontro per abbracciarci le gambe, di appoggiare la testa alla nostra spalla quando sei stanco. Ho guardato bene il tuo sorriso e ci ho trovato la tua fiducia grande verso il mondo. 
Qualche giorno fa camminando per strada mi sono fermata a osservare i giochi nella vetrina del giornalaio: colla fluorescente con i brillantini, bolle di sapone con una piccola biglia nel tappo, giochi da tavolo con la scatola ingrigita a causa del sole. Ho pensato ai tuoi cestini dei giochi, un improbabile miscuglio di oggetti montessoriani in legno, macchinine di plastica e congegni elettronici gracchianti.
Piccolo mio, qualche secondo fa, seguendo con lo sguardo la curva immensa delle tue ciglia, ho capito che i genitori dovrebbero assomigliare di più ai giochi nella vetrina del giornalaio: imperfetti, esteticamente discutibili, bruciati dal sole. Disordinatamente felici.
#baletter #gioiedinatale #feliceadesso
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Marta Pavia

Instagram prof

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usare bene Instagram · 12/11/2018

Quella volta che ho chiesto a Instagram di smettere di seguirmi

Ho una storia da raccontarvi: una storia strana, che comincia bene e finisce bene, ma in mezzo è successo qualcosa che mi ha fatta pensare moltissimo al mio lavoro e al modo in cui tutti noi ci rapportiamo con questi meravigliosi, complicati e anarchici strumenti che sono i social network.

Il repost

Tutto è cominciato quando un mese fa il profilo ufficiale di @instagram ha ripostato una mia foto. Era un sabato qualsiasi, stavo prendendo una tisana con il mio compagno e la mia mamma e SBAM: sono stata travolta da decine, centinaia di notifiche. Se volete vedere la mia faccia qualche secondo dopo la rivelazione l’ho immortalata in una story in evidenza. Nel post qui sotto racconto più o meno com’è andata, compreso il fatto che un dipendente di Instagram, qualche giorno prima, mi avesse avvisata, ma io non ci avessi creduto:

View this post on Instagram

E così una settimana fa è successo: Instagram mi ha repostata. Questa foto, che avevo pubblicato il 15 maggio sul mio profilo, è stata condivisa da @instagram in persona il 6 ottobre, per festeggiare l’ottavo compleanno dell’app. 🍫 È stato un po’ come quella volta che ho vinto un uovo di Pasqua gigante alla lotteria del negozio sotto casa. “Guarda che l’hai vinto tu, sul serio! Pesa cinque chili!” mi ha dovuto ripetere più volte la panettiera, con voce giuliva, mentre mi porgeva il sacchetto del pane. Il fatto è che, come con l’uovo di Pasqua, non ci ho creduto subito. C’era stato, qualche giorno prima, un commento che mi avvisava delle intenzioni di Instagram (lo trovate ancora sotto il post di maggio) ma io non mi ero fidata! “Figuriamoci se su un miliardo di utenti ripubblicano proprio me! Anzi questo tizio vorrà la mia mail per hackerarmi il profilo” ho pensato, orgogliosa di questo mio inedito moto di astuzia. Così, sabato scorso, quando ho visto arrivare una quantità inaudita di notifiche, non ho capito subito. Ho iniziato a intuire qualcosa dopo un messaggio vocale di @val_ina: “apri Instagraaaam, sei su Instagraaaam!”. Cosa? In che senso? Insomma per farla breve prima sono stata incredula, poi felice e orgogliosa come se avessi ricevuto una laurea ad honorem (non credo che esista una parola per esprimere la sensazione che si prova davanti alla notifica “@instagram ha iniziato a seguirti su Instagram”). ❤️ La conseguenza è che sono approdate a questo profilo qualcosa come settemila persone nuove (e ne stanno ancora arrivando!) e sono divisa tra la responsabilità di raccontare la mie storia a così tanta gente e la tentazione di perdermi a osservare le loro vite in tutti gli angoli più remoti della terra. Ma la cosa che mi ha stupita di più è stato l’abbraccio virtuale che ho ricevuto da tutti voi. Sono commossa all’idea che qualcuno abbia a cuore i miei successi quanto (o forse ancor più di) me. Siete stupendi, e riscaldate l’anima almeno quanto quei cinque chili di cioccolato. 🙏🏻 #feliceadesso #myinstagramlogo

A post shared by Marta Pavia – #feliceadesso (@zuccaviolina) on Oct 14, 2018 at 3:41am PDT

Ovvio che sono stata enormemente felice di aver ricevuto questo riconoscimento, che sta all’instagramer più o meno come una laurea ad honorem sta ad un accademico, e mi ha fatto ancora più piacere l’abbraccio virtuale in cui tutti voi mi avete stretta dopo averlo saputo.

I nuovi follower

Naturalmente dopo il repost sono stata raggiunta da centinaia, anzi migliaia di persone nuove da tutto il mondo. Il profilo stesso di Instagram, con mia immensa soddisfazione, è entrato a far parte dei miei seguaci.

Follow di Instagram.png

Ho avuto un po’ di ansia al pensiero che così tante persone entrassero a far parte della mia community, e che la maggior parte di esse non parlasse l’italiano (mi devo decidere a imparare l’inglese prima o poi), e le ho messe a tacere preparando una piccola story di presentazione in inglese (piena di strafalcioni, lo so).

Ma quando smettono?

Il fatto è che la valanga di nuovi follower, che avevo previsto si sarebbe esaurita nel giro di qualche giorno, non smetteva di travolgere il mio profilo. Dopo circa una settimana avevo raggiunto la ragguardevole cifra di 31.000 follower, circa 10.000 in più di quelli che avevo al momento del repost. Anche per una persona come me, decisamente poco avvezza ai numeri (come affermo, ironia della sorte, proprio nel post originario che instagram ha riproposto) una tale cifra iniziava ad essere vagamente sospetta.

Schermata 2018-11-11 alle 17.07.53.png

Questo screenshot è tratto da un sito utilissimo che si chiama Ninjalitics, che vi permette di visualizzare le statistiche pubbliche di qualsiasi profilo Instagram, vostro o di altri (saldo tra followers persi/guadagnati ogni giorno, tasso di engagement, post recenti con le migliori prestazioni). Come potete vedere dopo il repost la crescita è stata esponenziale e quasi incontrollata.

Devo iniziare a preoccuparmi?

Con il passare delle settimane la situazione non accennava a cambiare. “Ti seguono persone nuove, qual è il problema?” mi diceva qualcuno. Il fatto è che i profili di questi nuovi seguaci mi impensierivano un po’: alcuni erano totalmente privi di foto, altri cambiavano drasticamente numero di followers/followings nel giro di pochi minuti, e il 90% proveniva da paesi asiatici nei quali mi sembrava impossibile potesse esistere un tale genuino trasporto verso il profilo di una qualsiasi “instagram-coach” italiana, che conduce le sue giornate fotografando foglie secche, gatti e tasti di pianoforte.

A un certo punto ho maturato una tragica e inconfutabile consapevolezza: erano finti. Almeno una buona percentuale delle persone che iniziavano a seguirmi (a ondate di circa 400-500 al giorno) era composta da profili falsi, hackerati, o appartenenti a persone che stavano facendo uso di bot o di software poco raccomandabili per tentare di aumentare artificialmente la propria popolarità.

Ok, ho l’ansia

Non sono una persona che brilla per razionalità e sangue freddo, ma credo che al mio posto chiunque avrebbe cominciato a preoccuparsi un po’. Non solo il fenomeno non accennava a diminuire, ma io iniziavo a perdermi notifiche importanti, perchè la mia schermata home era costantemente piena di avvisi sui nuovi profili arrivati, tra i quali tutto il resto si perdeva come una goccia nel mare.

follower.jpg

Inoltre, la mia percentuale di seguaci italiani, cioè tutte le persone che verosimilmente avevano iniziato a seguirmi con cognizione di causa e per sincero affetto verso il mio lavoro, iniziava ad assottigliarsi sempre di più, passando da un dignitosissimo 83% a un preoccupante 52%, come potete vedere da questi screenshot delle mie statistiche.nazionalita_follower.png

Cosa posso farci?

Naturalmente a questo punto ho iniziato a domandarmi come affrontare la questione. Ho scritto all’assistenza di Facebook e di Instagram, ricevendo una risposta negativa dalla prima, e nessuna risposta dalla seconda. Allora ho chiesto aiuto a Marika di @breakfast_and_coffee_, che aveva avuto un problema simile al mio (le erano stati recapitati ottomila follower finti, probabilmente da qualcuno che aveva coscientemente deciso di farle un dispetto). È stata molto comprensiva e mi ha dato due consigli utilissimi: il primo era quello di provare a cambiare l’username per far perdere il link ai bot (strategia che con lei ha funzionato, e che le ha permesso di eliminare manualmente, con infinita pazienza, tutti i seguaci fittizi). Il secondo era quello di consultare i ragazzi di Ninjalitics, che in effetti mi hanno dato un supporto morale e tecnico insostituibile. Ho parlato anche con Lidia di @nonsolofood, che aveva risolto un problema simile al mio impostando per qualche tempo il profilo come privato, e con Federica @rikaformica, che anni fa, essendo stata suggerita da Instagram, aveva guadagnato molti follower inattivi, e aveva messo un freno a questa seccatura facendo pulizia manualmente e raccontando la questione sulle sue stories.

Il fatto è che con me nessuna di queste strategie pareva funzionare. Il cambio di nome (avevo aggiunto un underscore in fondo per qualche ora) non aveva sortito alcun effetto, l’eliminazione manuale dei follower era impensabile perchè continuavano ad arrivare a centinaia al giorno e sarebbe stato come tentare di svuotare il mare con un secchiello.

Perdere la faccia

Per un paio di settimane ho provato ad essere zen: non puoi preoccuparti di qualcosa che non puoi controllare, Marta, devi solo aspettare che le cose si sistemino da sole. Continua a fare il tuo lavoro, a farlo bene, le persone che ti seguono e ti conoscono non smetteranno di apprezzarti per questo. Però…

Però lo so quanto conta l’onestà sui social, quanto è importante per me e per le persone che mi circondano. E per quanto non fosse un peccato che commettevo consapevolmente, anzi l’avrei volentieri evitato, ho iniziato a temere che gli altri se ne accorgessero. Ho iniziato a sentirmi in colpa, a essere preoccupata per i miei clienti e le mie collaborazioni in atto. Quando @ch_ecco, bravo ragazzo e ottimo food blogger, in assoluta buona fede mi ha chiesto “Marta, che succede ai tuoi follower?” ho cominciato davvero a riflettere (e a disperarmi).

Quanto il mio lavoro e la mia credibilità dipendono dalla mia community? Quanto quei numeri sul mio profilo garantiscono la mia professionalità e le mie capacità? Senza la mia pagina sono sempre io, o non sono nulla? Certo, Instagram è solo un mezzo, un contenitore, ma quanto questo contenitore dà valore al contenuto? Se le mie competenze sono rinchiuse in una casa coi vetri rotti e deformanti rimangono le stesse o diventano irriconoscibili?

Ho pensato seriamente (e ne sono ancora convinta) di aver sbagliato ad affidare tutta la mia comunicazione a uno strumento che non solo non mi appartiene, ma sul quale non ho sostanzialmente nessun controllo. Tra i propositi per il nuovo anno ci sarà sicuramente quello di continuare a lavorare per costruirmi un sito ben fatto e professionale, di potenziare la newsletter, di terminare i lavori nello studio per organizzare eventi live, workshop e momenti di incontro veri, tangibili, offline.

Il lieto fine

A un certo punto della scorsa settimana mi sono ammalata, ho preso una tracheite abbastanza brutta, che mi ha costretto a due giorni di riposo sotto antibiotico. Probabilmente è stata l’immobilità forzata che mi ha costretta a ragionare e mi ha suggerito la soluzione.

Se il problema era partito dal profilo di Instagram, forse il profilo di Instagram poteva risolverlo. Così ho scritto alla persona che mi aveva contattata per propormi il repost, che con estrema gentilezza mi ha risposto, sintetizzando: “Ehi, grazie per avermelo detto, capita a volte con le persone che repostiamo ed è dovuto al fatto che Instagram ti segue. Ora proviamo a toglierti il follow così vediamo cosa succede”.risposta_instagram.PNG

Ha funzionato. Instagram ha smesso di seguirmi e i follower hanno smesso immediatamente di arrivare. Evidentemente qualcuno ha impostato un bot (o numerosi bot) sulla lista dei profili seguiti da @instagram, che a quanto pare non ha modo di evitarlo. Dev’essere per questo che la pagina segue un numero ridicolo di persone, appena 210, per non dare il problema a troppi utenti.

Meglio perderli

Immagino possa sembrare abbastanza ironico a chi non è passato attraverso un’esperienza simile, ma negli ultimi giorni il numero di miei seguaci ha iniziato a scendere drasticamente (tra le caratteristiche tipiche dei bot c’è proprio il fatto che prima o poi smettono di seguire i profili che hanno aggiunto) e io non potrei essere più felice (lo screen è sempre tratto da Ninjalitics, dove potete consultare anche voi i miei insights).follower_persi.png

Ci vorranno settimane, forse mesi, perchè la situazione ritorni normale. Nei ritagli di tempo proverò a rimuoverne qualcuno manualmente (fino a qualche settimana fa non sapevo nemmeno si potesse fare), ma devo dire che ho un problema, sono troppo sentimentale: mi perdo a sfogliare i profili di queste adorabili adolescenti indonesiane, che vanno a scuola tutte vestite uguali e con il velo in testa, e penso “ma se mi avesse seguita veramente?”, oppure finisco per ascoltare i sottofondi musicali delle stories di ragazzotti indiani e mi ritrovo a pensare a quanto questo mondo sia immenso e pieno di suoni, abitudini, sentimenti, usanze che noi non riusciamo nemmeno a immaginare.

La morale della storia

Se questo fosse un racconto tradizionale, come quello del pesciolino d’oro che mi raccontava sempre mia nonna, ne trarrei un insegnamento tipo “a un grande onore corrisponde sempre una vertiginosa caduta” o “ogni incantesimo potente ha un prezzo salato da pagare”.

Invece non credo ci sia davvero una conclusione morale da trarre, ma una cosa l’ho capita: devo lavorare sulle mie competenze e sui miei contatti anche al di fuori di Instagram, che per sua natura è solo il mezzo, e non il fine di quello che faccio. I numeri, per quanto io dica che non sono importanti, parlano del mio pubblico, e il mio pubblico mi definisce molto di più di quanto non pensassi. Mi pare questa la sede migliore, quindi, per ringraziarvi ancora una volta di essere qui e di aver letto le mie parole. Siete preziosi, uno per uno, e vi sono grata.

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Reader Interactions

Comments

  1. Marika says

    12/11/2018 at 18:03

    Ho letto il tuo post con grande interesse. Apprezzo molto ciò che fai, ciò che scrivi e, relativamente a questa questione di cui parli nel post, ho riflettuto anche io.
    Da un po’ ho blog personale il cui fil rouge è la creatività. Parlo di arte, di Sicilia, di storie e mi piace molto farlo. Ho canalizzato su giallolimoni un salto positivo nella mia vita e, tecnicamente, un master in comunicazione, il mio attuale lavoro e me.
    Sono pochissime le persone che seguono, che ascoltano le mie storie. Utilizzo spesso copy di storie che scrivo, anche con il mio compagno, per le foto di Instagram; i follower aumentano e poi spariscono. I numeri purtroppo hanno un ruolo non indifferente ma la frenesia nel considerali ha declassato Instagram che, come ben dici, è uno strumento.
    Spero di non averti tediata con questa mia considerazione 🙂
    Marika!

    Rispondi
    • Marta Pavia says

      13/11/2018 at 17:03

      Grazie mille Marika per il tuo commento! Concordo assolutamente con te, una comunicazione sana mette in secondo piano i numeri e in primo piano ciò che conta veramente: le storie che raccontiamo. 🙂

      Rispondi
  2. Giulia Robert says

    12/11/2018 at 20:55

    Finalmente riesco a prendermi il tempo per leggere tutto per bene. Come già ti dicevo oggi qualcosa lo avevo intuito, perché guardando (non con ninjalitics, che uso un sacco per lavoro) il tuo profilo ogni volta che ci entravo notavo troppo troppo cambiamento di numeri, che non è mai una cosa buona (quando così in massa).
    Quindi meno male che stanno diminuendo, anche se ci vorrà ancora tempo.. ma sicuramente la cosa che avrei pensato di consigliarti (che è quella con cui sto facendo una testa quadra a scuola e in ogni luogo e in ogni lago) è quella di puntare di più sugli strumenti proprietari (blog e newsletter), perché solo i soli su cui potrai (potremo) sempre contare, anche quando Instagram o Facebook non ci saranno più o si saranno trasformati in chissà cos’altro.
    Per altro questo è un consiglio che do e, come nei proverbi, poi stento a seguire, perché quando si investe tanto su uno o più canali è difficile poi dirsi “vabbè, ma anche meno”.
    E invece, “vabbè, anche meno”, e viva i post e le newsletter, che permettono anche una profondità di indagine delle cose che alle volte scordiamo.
    Comunque io, oltre a rivolgermi a Quelo, avrei anche un’altra soluzione, ma la troviamo insieme sul fondo di un bicchiere, spero più prima che poi 😉

    Rispondi
    • Marta Pavia says

      13/11/2018 at 17:04

      Eh non è facile razzolare bene in questo campo, perchè le cose da fare sono tante e non si riesce a starci dietro! Non vedo l’ora di prevedere con te il futuro attraverso le bollicine dorate di una birra!

      Rispondi
  3. fabiop73 says

    14/11/2018 at 18:52

    Complimenti. Bellissimo resoconto, grazie per averlo condiviso.
    Concordo totalmente con il concetto che sia sbagliato ad affidare tutta la propria comunicazione a uno strumento sul quale non si ha sostanzialmente nessun controllo, anche se molti non se ne rendono conto.
    Ho perso il conto delle volte in cui negli ultimi anni ho dovuto spiegare l’importanza di avere un sito per essere proprietari dei propri contenuti. Quasi nessuno pensa che il tempo speso sui social è dedicato a lavorare per la piattaforma (ma se ti serve per uno scopo e ne sei consapevole è un investimento).
    Spero ti faccia piacere se d’ora in poi inizierò a indirizzare a questo post quelli che più hanno bisogno di una conferma reale di questi concetti.

    Rispondi
    • Marta Pavia says

      15/11/2018 at 01:00

      Ciao Fabio, grazie mille per il tuo commento! Sono contenta di aver dato voce a riflessioni che possono essere utili per gli altri, e sarò molto felice di accogliere i visitatori che indirizzerai qui. 🙂

      Rispondi

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